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Della cucina e di altri demoni

Postato il 4 July 2018 da Elide Messineo
Della cucina e di altri demoni
Chef o cuoco? Spesso pensiamo di usare il francese solo per una questione puramente estetica ma in realtà una differenza c’è. Sì, lo chef è anche cuoco, ma non il contrario. Si distingue, in base alle qualifiche che ha e a seconda del livello raggiunto cambia il suo ruolo, così come cambia pure il nome. Uno chef deve sapersi muovere bene tra i fornelli, saper gestire la sua brigata – vale a dire tutto il personale che lavora in cucina. Uno chef si occupa di inventare piatti, di calcolare i costi del cibo, impostare il menu. È, come dice il suo nome, il capo della cucina, spesso e volentieri un vero e proprio manager. Il cuoco, invece, esegue gli ordini, vale a dire che si occupa della preparazione dei piatti, quella “nuda e cruda”.

Prima dell’avvento degli chef – stellati e non – in tv, quello in cucina non era considerato esattamente il lavoro dei sogni. Il motivo è molto semplice, il mondo della ristorazione richiede un enorme spirito di sacrificio, impegno continuo e tanta, tanta passione. Che può svanire da un momento all’altro, sotto il peso della grande mole di lavoro. Il grado più elevato, tornando alla categoria degli chef, è quello di executive, colui che possiede ristoranti, prende decisioni importanti, si occupa dell’amministrazione, insegna. L’insegnamento rimane una risorsa fondamentale, soprattutto per formare una brigata solida. Ma non è una conseguenza naturale dell’essere chef, specie quando si è gelosi dei propri segreti culinari.

Under Pressure

Oltre a destreggiarsi ai fornelli e controllare che tutto fili liscio, gli chef devono imparare a gestire la pressione che deriva dalle aspettative dei clienti. Il risultato finale, il piatto servito, verrà bocciato o promosso con lode? Una stroncatura, nella maggior parte dei casi, può fare una bella differenza. L’immagine dello chef nel corso del tempo è diventata sempre più affascinante, fashion: il cibo seduce e persuade, chi svolge questo lavoro ha un grande potere tra le mani ma ha anche un’occupazione che lo assorbe, in alcuni casi fino all’estremo. La recente scomparsa di Anthony Bourdain ha riaperto vecchie ferite, un argomento mai discusso in maniera approfondita. Lo chef americano, di origini francesi, è diventato famoso grazie ai suoi programmi televisivi, racconti di cibo e di vita in giro per il mondo. La sua comunicazione originale e diretta è sempre stata apprezzata dal grande pubblico, avvicinandolo ai più disparati tipi di cucina, dalla stellata allo street food di periferia. Bourdain si è tolto la vita ma non aveva mai tenuto nascosti i suoi demoni. Anzi, ne aveva parlato nel libro “Kitchen Confidential” in cui, tra droghe e alcol, raccontava il lato oscuro della cucina. Il libro è uscito nel 2000, diventando un bestseller. L’autore raccontava senza peli sulla lingua quel che accadeva nelle cucine dei ristoranti: un percorso fatto di cicatrici, bruciature, liti, compromessi da raggiungere per il quieto vivere ma anche grandi soddisfazioni. Purtroppo Anthony Bourdain non è stato l’unico del suo settore a prendere una decisione così estrema: una serie di elementi, tra cui problemi già esistenti e lo stress che il lavoro comporta, appaiono a qualcuno ostacoli insormontabili da superare, al punto da non vedere alternative valide. Per alcuni la pressione è letale, il caso emblematico rimane quello di François Vatel, che nel 1671 si tolse la vita a seguito di una consegna arrivata in ritardo. La scintilla per un meccanismo pronto ad esplodere da tempo.

Un po’ artisti, un po’ scienziati

Da quanto tempo esiste lo chef? Quand’è che è nata l’esigenza di questa figura? Nel V secolo esistevano già delle corporazioni che mettevano insieme figure come il pasticcere, il panettiere o il rosticcere. Allora la cucina e tutto ciò che ne derivava era strettamente legato al mondo della medicina. Sebbene la sua fosse considerata un’arte minore rispetto al lavoro di un notaio o di un giudice, chi si occupava di cucinare doveva avere delle conoscenze solide sui benefici degli alimenti. Chiquart, cuoco del duca di Savoia, definiva il suo lavoro sia arte che scienza. All’epoca venivano tenuti in considerazione gli effetti del cibo sulla salute, soprattutto la funzione delle spezie, seguendo i principi ippocratici. “Ricetta”, dopotutto, è un termine che va bene sia che vi troviate dal medico sia che andiate al ristorante. Certo, la seconda opzione rimane sempre la più allettante (nei casi peggiori, se scegliete male, vi farà tornare di corsa alla prima). Un cuoco studia combinazioni, sperimenta, è un po’ chimico (soprattutto se c’è di mezzo la molecolare), mette insieme culture e tecniche diverse, ne inventa di nuove. Unisce e rinnova.


Della cucina e di altri demoni | Foto di Federica Di Giovanni


La prima vera vetrina che permise agli chef di far notare la loro abilità furono i banchetti. E qui ritorniamo a François Vatel. L’inventore della crema Chantilly fu un grande esperto di banchetti e sulla sua storia peculiare è stato fatto anche un film, uscito nel 2000, con protagonista Gerard Depardieu. Il 24 aprile 1671 Vatel era nel bel mezzo dei festeggiamenti di tre giorni e tre notti voluti dal principe di Condé per tornare nelle grazie di Luigi XIV. Da buon maniacale quale era, Vatel aveva organizzato tutto in modo tale che il venerdì santo il pescato arrivasse freschissimo dopo aver viaggiato durante la notte. I suoi piani furono scombussolati da un ritardo nella consegna e gli ospiti, tornati affamati da una battuta di caccia, non trovarono l’abbondanza di vivande che Vatel aveva previsto per loro. Non accettando l’errore, l’uomo andò nella sua stanza e lì si tolse la vita. La sua morte non fu annunciata agli ospiti per non rovinare i festeggiamenti ma soprattutto per non compromettere il piano del principe di tornare nelle grazie del Re. Vatel ha lasciato una grande eredità, tra cui l’idea che  il contesto in cui le pietanze vengono servite (per esempio dei piatti in oro massiccio) possa cambiare la percezione che si ha del cibo. Per questo Vatel organizzava dei banchetti che erano dei veri e propri spettacoli, con tanto di musiche e danze, in cui tutto era calcolato e organizzato nel minimo dettaglio. Un lavoro volto a coinvolgere tutti i sensi degli ospiti ma che richiedeva anche un’enorme precisione, scatenando di conseguenza una forte pressione.

Il punto di svolta nel mondo della ristorazione si è avuto con Antoine Beauvilliers, proprietario della Grande Taverne de Londres a Parigi. Si tratta di quello che è stato considerato il primo ristorante della storia, ancora una volta tutto si svolge in Francia. Non a caso gli chef più prestigiosi al mondo tutt’oggi imparano i segreti del mestiere proprio lì; una formazione necessaria, quasi obbligatoria per chi sogna di diventare un mago della cucina. Dal Medioevo in poi la ristorazione e le figure che ruotano attorno ad essa hanno subito una veloce evoluzione, dovuta ad una qualità crescente dello stile di vita, alla ricercatezza delle materie prime e, ovviamente, ai progressi scientifici e tecnologici. Con le figure si sono evolute le divise, di vari colori in base al rango ma ormai quasi sempre bianche, per mettere in risalto un lavoro pulito, preciso e ordinato. C’è, poi, l’immancabile toque, il classico cappello da chef con le 100 pieghe che, dicono, simboleggiano i 100 modi diversi che un vero cuoco deve conoscere per preparare un uovo e che indicano anche la sua esperienza.

La nuova immagine degli chef

Quella dello chef è una vita articolata, richiede spirito di artificio, disciplina, l’ordine è fondamentale. Più l’offerta si fa dettagliata e raffinata, più ogni elemento presente in brigata deve essere specializzato. Il lavoro deve essere reso armonioso quanto più possibile, includendo anche le urla. A proposito di urla, uno chef che ha riscosso enorme successo (anche) per i suoi insulti originali è Gordon Ramsay. Ha collezionato 16 stelle Michelin tra tutti i suoi locali ed è stato tra i primi celebrity chef della tv. Se prima si trattava di una figura perennemente dietro le quinte, con l’avvento di programmi come “Masterchef” e “Hell’s Kitchen” lo chef è passato in primo piano. Dal Regno Unito la mania dei fornelli si è espansa grazie a figure come quella di Ramsay e Jamie Oliver, in prima linea per trasmettere un’idea di cucina buona e sana, soprattutto per le generazioni future. Gli chef odierni sono spesso considerati dei veri e propri artisti, dei poeti dell’impiattamento, creativi e affascinanti come rockstar, a volte appaiono perfino irraggiungibili.

Lo chef italiano per eccellenza è stato senza alcun dubbio Gualtiero Marchesi. Anche lui ha raggiunto l’apice del successo dopo essersi formato in Francia. Tuttavia è sempre stato convinto che gli italiani non siano in grado di apprezzare in pieno le loro materie prime e che non le valorizzino abbastanza. Noto per il suo caratterino, Marchesi ne aveva per tutti, colleghi ed ex allievi inclusi. Non apprezzava chiunque stravolgesse la materia prima rendendola irriconoscibile e creava dei veri e propri capolavori come l’ormai leggendario riso oro e zafferano e il raviolo aperto, senza tralasciare omaggi all’arte di Pollock o di Warhol. Marchesi ha cambiato una volta per tutte il modo di guardare alla cucina in Italia ed ha avuto il grande pregio di essere un insegnante, di tramandare il suo sapere. Oggi lo scettro di super chef italiano passa in mano a Massimo Bottura, che ha da poco conquistato la vetta dei 50 migliori ristoranti al mondo. Lo chef dell’Osteria Francescana, come molti suoi colleghi (Marchesi incluso), sta mostrando un’altra sfaccettatura di questo mestiere, trasposto oltre le porte della cucina: l’impegno sociale. Massimo Bottura ha dato vita a una catena di refettori (Milano, Rio de Janeiro, Parigi, Londra), progetti che aiutano i più bisognosi e al contempo portano avanti la lotta agli sprechi alimentari. Allo stesso modo il collega Gastón Acurio si è speso tantissimo per il suo Paese, rendendo finalmente il Perù fiero della propria cucina e della propria cultura e offrendo opportunità ai giovani delle slum di Lima. Anche lui ha fatto un lungo giro passando per la Francia, procurandosi gli strumenti necessari per restituire del bello attraverso l’elemento più primordiale che ci sia: il cibo.

Foto di Federica Di Giovanni