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Alberto Marchetti, il gelato che non è mai solo un gelato

Postato il 12 June 2019 da Elide Messineo
Alberto Marchetti, il gelato che non è mai solo un gelato | Foto di Federica Di Giovanni
Alberto Marchetti è stato un predestinato: è nato lo stesso giorno in cui suo padre inaugurava la sua gelateria di Nichelino ed è cresciuto tra carapine, coni e coppette. Era impossibile, per lui, non innamorarsi di questo mondo ed oggi è impossibile, per gli altri, non innamorarsi del suo gelato. La sua prima gelateria è nata in corso Vittorio Emanuele a Torino, ma l’attività ha raggiunto Alassio e Milano per poi fare ritorno alle origini, in via Po, ed ora si trova anche al Mercato Centrale Torino.

“L’idea è nata quando ho conosciuto Umberto (Montano, nda)” racconta Alberto Marchetti, “ho sentito parlare dell’apertura e il progetto mi è interessato fin da subito. Mi è piaciuta soprattutto l’idea di riqualificare Porta Palazzo, un quartiere bellissimo, che abbiamo tutti a cuore”. Tra clienti storici e volti nuovi, Alberto ha inaugurato la sua nuova gelateria con una proposta che spazia dai gusti classici fino a uno dei suoi cavalli di battaglia, come la farina bona. Si tratta di farina di mais ottenuta macinando finemente la granella, precedentemente tostata, ed è un presidio Slow Food svizzero, prodotto nella Valle Onsernone. Alberto Marchetti ha le idee molto chiare sul gelato e nessuno più di lui, dopotutto, potrebbe averle. Il gelato deve essere semplice, senza aggiunte, e deve mettere in risalto il gusto delle materie prime. E, ovviamente, deve essere buono, ma quando si parla di un prodotto così diffuso, questo criterio finisce per essere scontato. Per questo motivo è importante raccontare il prodotto e il lavoro che c’è dietro: “Ci piace raccontarlo in tutte le gelaterie, compatibilmente con i tempi. Si tratta comunque di un prodotto destinato a un consumo veloce, abbiamo solo pochi minuti da dedicare al cliente. Poi è il gusto a parlare, anche se in ogni punto vendita ci sono molte informazioni chiare e il nostro personale è sempre informato, perché ci piace parlare dei posti e delle persone che ci sono dietro i prodotti che utilizziamo. Per ogni gusto ci sono un territorio e un produttore con una storia da raccontare.

“Se c’è un gusto che mi sta a cuore”, spiega Alberto, “è la farina bona, presidio Slow Food e il primo che ho utilizzato nel 2008, a segnare l’inizio di un rapporto che negli anni si è consolidato. Tutto è partito da un sacchetto di farina e una vaschetta da un chilo di gelato al Salone del Gusto. Per me questo gelato ha un forte valore simbolico”. Dalla Via alla Piazza del Gelato, passando per l’apertura di Casa Marchetti, senza mai perdere di vista la ricerca degli ingredienti. “Tutti i gusti sono buoni e spesso nascono dall’incontro con un produttore. Per esempio, quando ho conosciuto Marco Michelis e le sue paste di meliga presidio Slow Food, ho pensato alla creazione del gusto meliga e lime. Un’altra volta, passando per Mombaruzzo, mi è venuto in mente che fosse il paese famoso per i suoi amaretti e così ho incontrato un produttore e ho pensato di fare un gusto di gelato, li usiamo anche per il bonnet. I gusti nascono per caso, mai su richiesta. Quando mi chiedono perché non c’è un determinato gusto, la risposta è sempre la stessa: non ho ancora fatto l’incontro giusto, non ho trovato l’ispirazione”.

Ma c’è un gusto che, più di tutti, Alberto Marchetti avrebbe voluto inventare? Uno di quei gusti che li vedi e pensi “ma perché non ci ho pensato io?”. L’artigiano spiega che molto spesso l’ispirazione arriva anche dal confronto con i colleghi: “Si assaggiano gusti nuovi e sì, a volte capita di pensare che avresti voluti inventarli tu. Il mio collega Paolo Brunelli, a Senigallia, ha inventato un gusto molto buono, a base di cioccolato bianco e sale. L’abbiamo riproposto anche noi, in una forma meno complessa della sua, però mi ha dato l’ispirazione. Tra colleghi c’è sempre uno scambio che alimenta la creatività ma non c’è mai competizione”.

Chi è e cosa fa Alberto Marchetti quando non è concentrato sul gelato? “Quando non penso al gelato, penso ad altre cose che si possono fare con altri ingredienti! Dedico il mio tempo libero alla mia famiglia: in questi ultimi 12 anni non ho aperto solo gelaterie, ma sono arrivati tre figli che oggi hanno 9, 8 e 4 anni e che sono già golosissimi!”. Per loro sarà sicuramente un piacere avere un papà che fa questo mestiere: “Per un bambino penso sia divertente, proprio come lo è stato per me con l’attività di mio padre. Mi piaceva assaggiare il gelato appena fatto e oggi possono farlo i miei figli, mi piacerebbe che seguissero le mie orme”.

Il primo gelato non si scorda mai

Com’è successo ai colleghi, anche Marchetti pesca dei bigliettini con le suggestioni. Pesca e si legge: una prima volta: “La prima cosa che mi è venuta in mente è l’emozione che si prova all’apertura di una gelateria, la prima volta che si fa il gelato. Sarà che io sono un po’ sentimentale, ma il primo gelato è un momento che rimane impresso, l’emozione che si prova quando insieme ai ragazzi lo assaggiamo. È così ogni volta”. Chi sarebbe diventato Marchetti in una vita parallela, lontano dal gelato? “Probabilmente mi sarei avvicinato al mondo dei numeri. Se mio padre non avesse fatto questo lavoro, sicuramente mi sarei buttato sulla matematica e avrei seguito un percorso più scientifico”. Pensando a un aneddoto, Alberto Marchetti ricorda che da bambino, nella cremeria del padre, adorava entrare nel laboratorio di pomeriggio e mangiare il gelato sempre fresco. Era perfino pericoloso, per via della paletta: “andavo a pescarmi il gelato direttamente dal mantecatore, facevo la mia coppetta e ricordo che era buonissimo. È quello che cerco di proporre oggi nelle mie gelaterie: sempre fresco e mantecato; quando finisce un gusto lo rifacciamo, non abbiamo scorte. Mi piace fare il gelato così, con tutte le fatiche che comporta”.

L’altro bigliettino pescato è la prova che Alberto non smette davvero mai di pensare al suo lavoro, che è poi la sua più grande passione. Se dovesse scegliere tre oggetti da portare su un’isola deserta, il primo sarebbe sicuramente la pala del mantecatore. “Usiamo quelli verticali, quindi me ne porterei dietro una, è molto grande e sembra un remo, potrebbe servire su una zattera! Porterei un orologio per avere sempre la cognizione del tempo”. Considerando un coltellino come parte integrante di un kit di sopravvivenza, Alberto aggiungerebbe “qualcosa per accendere un fuoco e usare la frutta dell’isola per fare una buona marmellata”. Fate attenzione, Marchetti sarebbe capace di aprire una gelateria perfino su un’isola deserta!


Alberto Marchetti, il gelato che non è mai solo un gelato | Foto di Federica Di Giovanni

Foto di Federica Di Giovanni

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