Sergio Barzetti, l’importanza di riportare la cultura in cucina
Sergio Barzetti viene da una famiglia di appassionati di cavalli, ha iniziato il suo percorso studiando all’alberghiero, al Carlo Porta di Milano, nel tentativo di sfuggire alla matematica. Ha scelto il posto in cui gli sembrava che ne avrebbe trovata di meno e invece l’ha trovata lo stesso, solo che si chiamava “amministrazione” e alla fine la ritrova ancora oggi, dappertutto: “la matematica in cucina è fondamentale”, adesso lo sa molto bene. Dagli alberghi alla ricerca di esperienze nei ristoranti al fianco degli chef più prestigiosi, passando per La Cucina Italiana, dove ha lavorato per 19 anni come cuoco di redazione, i corsi professionali e le consulenze, la televisione: “le ho provate tutte perché mi piace cambiare sempre. Dicevo che avrei fatto tutto, tranne che aprire un ristorante ma dopo tanti anni non mi bastava più: è la mia chicca, la mia bomboniera”. Perché, spiega Sergio Barzetti, “arriva un momento in cui vuoi definire quello che fai e che sei, vuoi raccontare la tua filosofia. Si tratta di mettere un piccolo semino per il futuro, soprattutto per chi arriverà dopo, e lasciare un messaggio. Insomma, ho una sola occasione per stare sulla terra e voglio sfruttarla al meglio per dire qualcosa di importante!”.
E cosa ha seminato, Sergio Barzetti, in tutto questo tempo? “In me sicuramente tanta passione. Dal punto di vista professionale, da circa 15 anni, sono molto cambiato. Ho sempre cercato di lavorare per i nomi più importanti della cucina, dopo sei mesi magari andavo via perché diventavo tecnicamente bravo, ma ero solo questo”. La svolta è arrivata quando Sergio ha incontrato un produttore di formaggio, oggi un suo caro amico, che gli ha chiesto se avesse mai visto la produzione del formaggio fin dall’inizio: “sono andato da lui e da lì è cambiato tutto. Ho capito che ero solo un bravo trasformatore di materie prime, ma non avevo cultura”.
La riscoperta dell’autenticità
In ogni piatto di Sergio Barzetti ci sono ingredienti scelti con cura, che arrivano da un rapporto con i produttori, la conoscenza delle metodologie di produzione: “per ogni ingrediente che uso so com’è stato fatto, tutta la fatica che c’è dietro, il volto di chi lo produce. Solo così puoi dare davvero importanza a ciò che doni al tuo ospite – per me non si tratta di semplici clienti – che deve mangiare bene, provare emozioni e andare via imparando qualcosa”. Chi mangia il risotto di Sergio Barzetti deve sapere che tipo di riso sta mangiando, perché è stato scelto proprio quel tipo di Parmigiano e da dove arrivano i pistilli di zafferano. Tutto questo si riconcilia con la grande passione di Sergio per la natura, che arriva da una famiglia di allenatori di cavalli da corsa e anche dal fatto che il mestiere del cuoco ti costringe a stare molto tempo chiuso tra le mura della cucina e, quando finisci, vuoi trascorrere del tempo all’aperto. “E poi andando a studiare le materie prime ti ritrovi spesso nella natura, come quando vai in risaia con i produttori. Io voglio insegnare alla mia bambina da dove arrivano tutti i prodotti, così ho iniziato a coltivare anch’io. Tutte le erbe aromatiche e molti ortaggi del mio ristorante sono prodotti esclusivamente da me”.
Un ritorno alle origini di cui si sente parlare sempre più spesso, col rischio che diventi una tendenza il cui messaggio di fondo venga sminuito: “per questo dobbiamo lavorare sulla formazione dei giovani. Non tanto per la coltivazione, quella dipende dalle possibilità del singolo. Ma andare dai produttori sì: parlare, stare vicino a chi crea le materie prime, creando sinergie”. Sergio Barzetti sostiene di non essere bravo a cucinare, ma di essere bravo a rispettare le materie prime ed è questo, secondo lui, l’elemento che fa la differenza in un bravo cuoco. Così anche chi fa parte della sua brigata inizia ad entrare nel meccanismo: i ragazzi che lavorano in bottega al Mercato Centrale Milano sono stati tre giorni in risaia, perché devono sapere di cosa parlano e cosa preparano, da dove arriva il prodotto.
Il 2020, anno che ha messo a dura prova tutti, ha portato molti di noi a fare grandi riflessioni su svariati argomenti e a porci domande: ne usciremo migliori o peggiori? “Non so se sono migliorato o peggiorato, ma mi sono reso conto che diamo poca importanza a molte cose che, nel quotidiano, ci sembrano banali. Come la possibilità di mangiare insieme agli altri”. Sergio Barzetti si è ammalato di COVID-19 ed ha trascorso molti giorni isolato in una stanza. Per fortuna era in casa, con la sua famiglia, ma non poteva abbracciare nessuno, il cibo gli arrivava su un vassoio: “non avere contatto è bruttissimo, sentivo la mancanza dell’abbraccio della mia bambina ma è così che impari a dare importanza alle piccole cose, come i messaggi che mi lasciava sotto la porta. Ho osservato anche l’incredibile sensibilità degli animali: la Dora, il mio cane, non appena mi sono isolato nella mia stanza non si è mossa più, è rimasta per tutto il tempo fuori dalla porta”. Nonostante i momenti brutti, si può sempre trovare il lato positivo e questo Sergio lo ha capito anche quando la madre, per gli stessi motivi, è stata ricoverata in ospedale: “l’umanità dei dottori che va ben oltre il mestiere: nella bruttezza vedi anche delle bellezze incredibili, che ti fanno cambiare il modo di vedere la vita. Nel bene o nel male, c’è sempre una lezione da portarsi a casa”.
Profumi e lezioni
Ed è proprio grazie alla madre che Sergio Barzetti forse si è appassionato così tanto al riso: il suo risotto, racconta, “è per me il piatto più buono di sempre, perché ho il ricordo di quello che mi preparava quando ero piccolo. E poi mi è sempre piaciuta tantissimo la pizza, la mangerei sempre”. Soprattutto se è quella di Gabriele Bonci o Pier Daniele Seu, due cari amici che si trovano anche al Mercato Centrale Roma. Lì Sergio Barzetti ha trascorso molto tempo quando tornava dalle registrazioni delle puntate de “La prova del cuoco”. “La sera Gabri mi lasciava sempre un pacchettino, oppure mi fermavo a mangiare in pizzeria da Seu. Di solito era tardi e me ne stavo lì a guardare le botteghe e pensavo che ho sempre avuto il sogno di entrare in un mercato. Mi ha sempre affascinato il fatto di poter lavorare le materie prime direttamente nel posto in cui arrivano fresche, trasformarle e offrirle ai clienti”.
Se c’è un profumo a cui proprio Sergio Barzetti non può resistere, è quello dello zafferano, anche se è conosciuto come Mr. Alloro perché ama molto usarlo nei suoi brodi. E poi, ovviamente, il profumo del riso: “sono un esperto di analisi sensoriale del riso; non molti lo sanno, ma esistono dei veri e propri corsi, un po’ come quelli dei sommelier. Ogni riso ha un odore ben preciso, dei sentori e delle note che raccontano molto del posto da cui proviene”. Ci vuole un buon fiuto e per questo è importante non fumare: “c’è chi ha smesso per venire a lavorare con me; inoltre è comodo, perché puoi mettere da parte quei soldi per farti un bel viaggetto! Mi sono accorto che se qualcuno esce a fumare a metà servizio, poi torna con le note sensoriali completamente alterate e sbilancia tutte le note saline del piatto”. Anche Sergio in passato fumava ma, ancor più delle note saline del risotto, è stato un altro il motivo per cui ha deciso di smettere: “Quando è nata mia figlia Anita, mia moglie – che è un’educatrice – mi ha raccontato che i neonati riconoscono i genitori dal loro odore. Ho pensato che non volevo che mia figlia mi associasse in alcun modo all’odore del fumo e allora ho smesso”.
Una citazione che accompagna da sempre Sergio Barzetti è “Il miglior maestro è la pratica”, tanto da essersela fatta stampare su una maglietta. “Anche se hai talento, lo ricordo sempre ai miei ragazzi, è importante allenarsi sempre”. La citazione è di Pellegrino Artusi, “grandissimo personaggio appassionato di cucina: colui che ha unificato la cucina italiana e l’Italia. Non era un cuoco: era un cantastorie, un raccontatore, un filosofo della cucina, viaggiatore e mercante. Provava i suoi piatti finché non ritrovava il sapore perfetto, ha detto tantissime cose importanti sulla cucina, per questo tengo il suo decalogo nel mio ristorante. Già duecento anni fa diceva cose attualissime, era già così avanti”.